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I mulini o i torchi della Valle Cannobina

Resti più o meno conservati degli antichi mulini si trovano lungo i corsi d’acqua nelle vicinanze di quasi tutti i nuclei un tempo abitati della Valle Cannobina a testimonianza della loro importanza per queste comunità rurali. Resti molti diffusi sul territorio sono anche quelli dei torchi per l’uva o le noci.
Periodo ottimale per la visita:Tutto l’anno, sconsigliato solo nei periodi di innevamento. Bisogna tenere presente che le zone vicino ai torrenti dove si trovano i mulini spesso ricevono poco sole. 
Tasso di difficoltàTuristico
Descrizione
Tempo necessario per la visita:Non quantificabile.
Descrizione specifica del manufatto:
Ogni comunità della Valle Cannobina aveva almeno un proprio mulino e spesso anche il torchio per l’uva o per le noci; purtroppo oggi moltissimi sono completamente persi e non ne rimane alcuna traccia o sono stati modificati per destinarli ad altro uso. L’osservazione di questi manufatti perciò molto spesso si limita all’individuazione di poche tracce che deve essere supportata da una buona dose di immaginazione rafforzata dalla conoscenza storica dei luoghi e dalla memoria degli abitanti.
Aspetti storici:
Bergamaschi nel suo libro che descrive la vita in questa valle fino a non molti decenni fa  ha individuato moltissimi torchi e mulini. Vengono qua di seguito indicati immaginando di risalire la valle.
 

Cavaglio
A Cavaglio il torchio era situato in una piccola baita nei pressi dell’attuale Circolo ACLI. Il proprietario era un certo Paolo Grassi. Si macinavano soprattutto noci per ricavarne olio commestibile.
Alcuni mulini erano in funzione circa cent’anni fa. Si ricordano quello di Giuseppe Zanoni situato alla Ganna e un altro al Pont du Geu.
 

Socraggio
Vi erano:

1)     il torchio nella casa verso valle, vicino alla Chiesa; si faceva vino di mele, di pere e di uva; 2) nella valle lungo la strada per Calachina, vi era il mulino Da Lunga: si vede ancora un muretto; 3) altro mulino di Raffaele Brocca vicino al ponte per Calachina; macinava grano ecc.;4) a Corte vi era il torchio di Luigi Cantoni (Baladìn). Ha funzionato fino alla seconda guerra mondiale. Si macinavano noci e nocciole per ricavarne olio. La gente di Socraggio utilizzava talvolta questo mulino. 5) a Calachina vi era il torchio di Luigi Minoletti.
 

Spoccia
L’ultimo mulino esistente in Valle Cannobina è posto lungo il riale che scende precipitosamente dai monti situati a Bronte di Spoccia.
Questo mulino era stato costruito di Giuseppe Generelli, originario di Orasso, il quale, sfruttando la caduta dell’acqua, faceva funzionare tutti i macchinari della sua bottega di falegname.
Ora il mulino di Ponte Spoccia è diventato proprietà di Cesare Branca di Cannobio che lo ha ristrutturato rendendolo perfettamente funzionante ed operante. Con molta pazienza, molto lavoro e molto denaro, egli, sacrificando tanto del suo tempo libero, ha voluto che fosse conservata alla nostra valle una delle più significative testimonianze della su agente e del suo passato, una testimonianza di vita e anche di progresso per quei vecchi tempi.
Non dobbiamo dimenticare che tanti anni or sono gli abitanti della Valle Cannobina vivevano principalmente dei prodotti locali; si può quindi pensare quale grande importanza assumesse nella vita valligiana il prezioso Mulìn.
Ritornando all’agricoltura del paese, per poter macinare il granturco e il frumento esistevano mulini funzionanti ad acqua, di uno dei quali vi sono ancora resti nel sito detto Tasan, situato sul versante di Spoccia, poco prima che il sentiero attraversi il ponte antico sul rio Orasso.
Vi era anche il forno per fare il pane per l’intero paese; si trovava nell’attuale via Vittorio Emanuele, e precisamente nel sito detto Scirasìt. Il torchio invece era presso l’antica casa comunale, poi anche scuola, nella parte superiore, al centro del paese. Proprietà di Pietro Piffero, funzionava ancora durante l’ultima grande guerra mondiale: “teurk da u furn”, detto “in tu teurk da Drignùn”, dal nome del luogo.
 

Falmenta e Crealla
Vi erano:
il torchio nella casa verso valle, vicino alla Chiesa; si faceva vino di mele, di pere e di uva; 2) nella valle lungo la strada per Calachina, vi erea il mulino Da Lunga: si vede ancora un muretto; 3) altro mulino di Raffaele Brocca vicino al ponte per Calachina; macinava grano ecc.;4) a Corte vi era il torchio di Luigi Cantoni (Baladìn). Ha funzionato fino alla seconda guerra mondiale. Si macinavano noci e nocciole per ricavarne olio. La gente di Socraggio utilizzava talvolta questo mulino. 5) a Calachina vi era il torchio di Luigi .

1)     Minoletti.  
Gurro 1) In Cundìsc vi era il torchio di Battista Patritti, ereditato in seguito da suo figlio Patrizio (uno di undici fratelli). Nel 1924 il torchio fu portato via dalla grande “buza” dell’11 ottobre, che aveva divelto tutti ponti, o quasi della zona: di Gurro, di Teia, di Moggia, del Piazò, della Sponda ecc. Il torchio lavorava per tutto il paese per fare l’olio di noci, che era il primo condimento per la cucina. 2) Sempre in Cundìsc vi erano almeno altri due mulini: uno di Giovanni Cerioli (Parà) e un altro di Felice Dresti (Filìz). Macinavano granturco, che andavano a prendere altrove, castagne, ecc. I mulini hanno funzionato fino verso il 1910-15, a beneficio di tutta la gente. Il cerioli aveva l’asino, “L’àsan du Ceriò”, per fare su e giù da Cundìsc. Felice Dresti, i paese, a casa Filìz in via Bengasi, aveva un forno per asciugare il granturco prima di portarlo a macinare. 3) Sopra Cundìsc, nel versante della Puncia In Tu Flacè, a metà circa del rigagnolo che scende dalla Provinciale, vi era una grande ruota di sasso con un incavo levigato all’interno di alcuni centimetri e un margine esterno di 5 cm circa. Serviva evidentemente per macinare, forse grano. Nei dintorni si dovrebbe trovare la ruota che girava nell’incavo; non essendoci acqua, il lavoro veniva fatto a mano, perché da noi non si usavano asini per simili lavori. 4) Altro mulino si trovava a Batàia, appena sotto la curva della Provinciale, in faccia a Mulinat ed era di proprietà della Cooperativa. 5) A Pus vi era il mulino di Pietro Patritti, Gebèrt, nonno del Perfètt. E’ datato 1844 e ha funzionato fino al 1925. Venivano anche da fuori Gurro a far macinare biada, castagne, grano, noci ecc. Funzionava giorno e notte.  
Orasso Vi erano tre mulini costruiti sul Rio Orasso che scende dal monte Gridone: uno era ubicato in località Lanca, proprietari i Patona, al quale si accedeva attraverso la mulattiera Orasso-Lungio-Lanca. Gli altri due erano stati costruiti invece in località Mulìn; vi si accedeva attraverso la mulattiera boromea Orasso-Spoccia. Uno di questi mulini era di proprietà di un Martinazzi detto “Magar Vecc” e l’altro di alcuni Generelli e Mazza, i quali avevano costruito all’interno anche il forno per la cottura del pane. Sempre lungo il corso di questo torrente, a monte di quelli di Orasso, esisteva un altro mulino di proprietà di gente di Spoccia.  
Cursolo L’Airetta un tempo era un centro vitale e pulsante di tutta la comunità cursolese ed orassese. Il mulino era di proprietà di Carlo Minoggio, ex podestà del Comune, che lo faceva funzionare con una piccola cascata d’acqua derivata dal torrente Eira. Il mulino ha lavorato sino agli anni 1945-1946 e durante il periodo pre-bellico e post-bellico moltissimi erano stati i valligiani che con le loro gerle cariche di cereali e di castagne secche e altro ancora, si recavano a questo mulino per fare macinare i loro prodotti.[…] Questo impianto, oltre ad essere utilizzato per macinare, serviva anche a far funzionare i macchinari della falegnameria del proprietario. Anche di questo mulino non è rimasta traccia; la bottega del falegname è stata trasformata in terrazza e la sala macchine in garage. Il torchio si trovava più in su del mulino, lungo la mulattiera che dall’Airetta sale a Cursolo. Ha funzionato fino al 1890. In seguito si andava a Gurro. Si macinavano soprattutto noci. All’Eira vi erano anche il mulino e l’officina del fabbroferraio Pietro Minoggio.  
Finero Alcuni mulini in località Mulin, più su del ponte per Provola, sfruttavano le acque del torrente Cannobino. Erano di proprietà delle famiglie Bottinelli e Pironi; Un altro si trovava invece 50 m più in giù del ponte per Provola ed era della famiglia Bottinelli; un mulino sfruttava il salto del rio Lavenda poco prima che si immetta nel Cannobino. Era di proprietà della famiglia Cantoni; un altro, in località Campazzo, sul rio Lavenda, era di proprietà dei Viarengo, i quali avevano molti possedimenti nella zona. Fu poi acquistato da Giuseppe Bariletti. Altri mulini sfruttavano l’acqua del rio Creves. Tutti questi mulini hanno funzionato fino al 1920-30 circa.

Narrazioni:
La leggenda del mulino di Cavaglio Anni fa, un mugnaio, al tramonto, stava tornando a Cavaglio da Cannobio; doveva passare vicino all’Orrido di S. Anna dove si trovava il castello dei banditi a guardia della valle. A pochi passi dal castello, il suo cavallo si arrestò, nitrendo. In mezzo al sentiero c’era un corpo umano; nessuna luce era accesa nel castello. Illuminò il corpo e si accorse che era una giovane donna, ancora viva. Dopo una lunga riflessione, salì al castello; il ponte levatoio era distrutto e la porta aperta. I briganti erano fuggiti. Decise di portare con se la donna. Nel passare davanti al castello, sentì tutto il corpo percorso da brividi. Nella notte seguente, il capo dei briganti, vestito da eremita, saliva il sentiero sopra Traffiume in cerca della donna, che aveva precedentemente rapito e che si chiamava Matilda. Dopo aver girato inutilmente per la valle, decise di ricorrere all’aiuto dei demoni, il rifugio si trovava all’Orrido di S. Anna. Scese verso il torrente e si sedette in attesa. A mezzanotte, vide spuntare una barca con sopra parecchie ombre con gli occhi di fiamme. Erano i demoni. Il bandito disse: “ Ieri abbiamo abbandonato il castello di Traffiume, anche le nostre fortezze di Cannero sono state distrutte ed il nemico ci avrebbe snidato anche da qui; nella fretta abbiamo lasciato sul sentiero una giovane donna che avevamo rapito, ora vogliamo sapere dove si trova”.Il demone lo fece salire sulla barca per portarlo a satana in persona. Il bandito era molto spaventato, ma intraprese il viaggio. Entrarono nella grotta e sentirono il battere delle ali dei pipistrelli; il barcaiolo indicò la grotta e la definì la stanza del diavolo. In fondo c’era satana, che disse al brigante che gli avrebbe rivelato dove fosse la donna a patto di avere in cambio le anime dei suoi dipendenti, poiché la sua gli apparteneva già. Per suggellare il patto gli fece uscire qualche goccia di sangue dalla mano. La stessa notte, il mugnaio ascoltava da Matilda la storia del suo rapimento. Alla mattina, il demonio andò a casa del mugnaio a prendere la donna e si lamentò di aver dovuto attraversare il fiume a guado; per questo propose al mugnaio di far costruire un ponte senza alcuna spesa in cambio di un solo favore: avere la donna per riconsegnarla ai banditi. Il mugnaio esitava, ma satana gli disse che non avrebbe dovuto darla a lui, ma sarebbe stato sufficiente metterla sul sentiero. Il mugnaio accettò e tese la mano destra al demonio per siglare il contratto. Poco dopo molti operai arrivarono a costruire il ponte. La giovane donna doveva andare, ma prima di partire, chiese al mugnaio una medaglia della vergine Maria; il mugnaio si ricordò di averne una della moglie morta e gliela diede. Matilde andò via accompagnata da una donna che non si seppe mai chi fosse; attraversò sicura l’orrido di Sant’Anna e non ritornò mai più a Cavaglio.  
GurroCapitava che l’acqua che faceva girare la ruota al mulino del Cundìsc ghiacciasse e quindi non scorresse più: allora il Patrizio doveva girare a mano con estrema fatica la grande vite del torchio. Una volta le “spie” lo denunciarono alla finanza perché produceva olio senza permesso. E così una notte arrivarono in Cundìsc i finanzieri: entrarono nella buia cascina, illuminata appena da una debole lampada a petrolio e videro un omino (il Patrizio era piccolo di statura), lucido e impiastricciato di olio. Cominciarono a interrogarlo e a guardare in giro nel locale, infine chiesero: ”Quanto olio riuscite a fare in un giorno girando il torchio a mano?”. “Sette-nove litri”, rispose l’omino. “Maledette quelle spie che ci hanno mandato qui”, esclamarono i finanzieri. E così il Patrizio continuò a girare la vite. Per soprannome lo chiamavano Bisàca.
Connessione ad altri temi:
Via delle arti e dei mestieri.
Cartografia:
Carta I.G.M. F.16 III S.E. della Carta d’Italia – Cannobio –   Carta I.G.M. F.16 III S.O. della Carta d’Italia   Carta Nazionale Svizzera 1:50000 N° 285 Domodossola  Carta Nazionale Svizzera 1:50000 N° 286 Malcantone.
Bibliografia:
Bergamaschi C., La vita quotidiana in Valle Cannobina nell'ultimo secolo, 1997, Alberti libraio editore, Verbania   Fragni A., Tranflumen, 1977, Cerutti ed., Intra   Pisoni F., Traffiume: gli statuti del 1343, 1990 Alberti libraio editore, Verbania   Zammaretti A., Il borgo e la pieve di Cannobio, vol.III 1980, San Gaudenzio, Novara.

A cura di: Daniela Boglioni