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Il trasporto del granito con i carri


Il carro per il trasporto dei blocchi: disegno di Siro Stramaccia in “Pietre vive” Calendario Bavenese 1991.

 

Montorfano di Mergozzo: un vecchio carro per il trasporto dei blocchi.

 

Ruota di carro per il trasporto del granito: da notare il robusto cerchione in ferro e il ceppo frenante.

 
Descrizione specifica del manufatto:
Prima dell’avvento dei grossi mezzi di trasporto gommati e cingolati con motore a scoppio, il problema del trasporto era una dei fattori limitanti l’industria della pietra. Storicamente infatti si può notare come la scelta di una pietra piuttosto che un’altra per la costruzione di grandi opere era determinata soprattutto dalla possibilità di trasporto. Senza la via d’acqua che permetteva di raggiungere Milano, non sarebbe mai stato utilizzato il marmo di Candoglia (Mergozzo) per la costruzione del duomo. Ancora, senza la possibilità di raggiungere Roma, seppur con il coraggioso periplo di buona parte d’Italia, non sarebbe mai stato utilizzato il granito bianco di Montorfano per le colonne della basilica di San Paolo Fuori le Mura. Anche una osservazione dei litotipi utilizzati ad esempio a Torino in passato, mostra che i graniti dell’alto novarese e verbano vi giungono solo con lo sviluppo delle ferrovie.
Ma se sulle grandi distanze le vie d’acqua prima e la ferrovia poi potevano essere una soluzione più che accettabile all’epoca, rimaneva il problema del trasporto dalla cava al luogo di lavorazione e da questo al luogo d’imbarco o alle stazioni di partenza.
Il mezzo principale era il carro trainato da più coppie di buoi: ancora una volta ingegno dell’uomo e forza degli animali.
Si trattava di carri molto più robusti di quelli per i trasporti tradizionali, in grado di sopportare carichi di tonnellate. I cerchioni erano maggiorati in larghezza e avevano numerosissime razze molto vicine tra loro.
Il grosso problema era la discesa lungo le strade di cava, dove il possibile scivolamento  dei buoi e  la presa di velocità del carro stesso avevano imposto la presenza di ceppi frenanti su ognuna delle ruote.
Il piano di carico era leggermente inclinato per favorire le operazioni di carico e scarico.Significativo quanto si legge in Aa.Vv., Ossola di pietra nei secoli, Antiquarium Mergozzo, 1978: “I grossi ceppi dei freni erano regolati manualmente dagli operai che seguivano il carico, ed alla fatica degli uomini si univa lo sforzo degli animali aggiogati, e tutti erano esposti  ad un continuo rischi per il grande peso dei blocchi, la poca manovrabilità del mezzo, le condizioni dei tracciati stradali spesso in pendenza e dal fondo accidentato e sconnesso”.
Bibliografia:
Aa.Vv., Ossola di pietra nei secoli, Antiquarium Mergozzo, 1978Margarini G.- Pisoni C. A., Il granito di Baveno. Un pioniere: Nicola Della Casa, Alberti Libraio Editore, Verbania.
Altre Fonti:
Calendario Bavenese 1991: “pietre vive”, Quaderno n° 53 delle comunità parrocchiali di Baveno Lavori non pubblicati: ITIS Cobianchi Verbania: Area di Progetto La Lavorazione del granito sul Montorfano, Ind. Meccanico a.s. 1994-95Pier Mario Locatelli  SMS Baveno.

A cura di: Claudio A. Vicari