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Muovere le pesanti pietre


I curli, disegno di Siro Stramaccia in “Pietre vive” Calendario Bavenese 1991

 

Il cric, disegno di Siro Stramaccia in “Pietre vive” Calendario Bavenese 1991

 

La greppia, utilizzata per sollevare colonne o obelischi. Disegno di Siro Stramaccia in “Pietre vive” Calendario Bavenese 1991

 
Narrazioni:
Uno degli aspetti che da sempre ha impressionato l’uomo moderno è stata la capacità che nella preistoria e nell’antichità i nostri antenati devono aver avuto nel movimentare pesanti blocchi senza l’ausilio delle nostre tecnologie.  Non ci sono risposte definitive, ma basterebbe volgere il pensiero all’epopea dei picasass per rendersi conto di come l’ingegno umano sia riuscito a superare con l’intelligenza i limiti imposti dalle capacità fisiche.  Nella scheda sulle vie di lizza si può vedere come la forza di gravità, se sapientemente utilizzata, poteva diventare un prezioso alleato nel trasporto dei blocchi. Nella maggior parte dei casi però i blocchi andavano spostati opponendosi alla forza di gravità e all’attrito. Come fare? Lo strumento più semplice era la “livèra”, una pesante asta di ferro acciaioso che, con un punto d’appoggio posizionato sapientemente, può trasformarsi  in una vantaggiosissima leva. Per spostare poi grandi blocchi o manufatti si utilizzavano i “còrli”, cilindri di legno di betulla posti sotto i blocchi, con dei fori alle estremità nei quali si potevano inserire le leve per ottenere la loro rotazione. A pensarci bene, questa tecnologia, seppur modesta era potente e, probabilmente, pressoché immutata da molti secoli. Uno strumento tecnologicamente molto più evoluto era il “cric”, in legno di olmo e ingranaggi in ferro mossi da una manovella azionata a mano che permetteva ad un solo operaio di ottenere un sollevamento parziale di blocchi anche di 200  quintali (con un cric doppio). Per sollevare pesanti obelischi o colonne si utilizzava la “greppia”. Lo strumento non è di facile descrizione, si tratta sostanzialmente di tre pezzi, due ali laterali ed una centrale, che sono collegati ad un gancio. Si realizzava nel manufatto da sollevare un foro rettangolare e leggermente obliquo nel quale si posizionavano le ali laterali della greppia. Si introduceva poi l’elemento centrale della greppia ottenendo così un incastro che permetteva di sollevare l’oggetto. La grande abilità nell’effettuare queste operazioni di sollevamento era quella di capire quando il foro aveva la profondità  sufficiente per sollevare un determinato peso. Il rischio infatti era grande: dalla perdita del manufatto al pericolo di caduta della pietra sugli operatori.Solo intorno al 1920 si ha l’introduzione del “derich” (dall’inglese derrick), prima in legno e mosso manualmente e poi in metallo con motore elettrico. Si trattava originariamente di un palo di legno disposto verticalmente con un braccio e un verricello. Un argano a mano permetteva il sollevamento del braccio  e del blocco legato ad esso.
Bibliografia:
Aa.Vv., Ossola di pietra nei secoli, Antiquarium Mergozzo, 1978 Margarini G.- Pisoni C. A., Il granito di Baveno. Un pioniere: Nicola Della Casa, Alberti Libraio Editore, Verbania.
Altre Fonti:
Calendario Bavenese 1991: “pietre vive”, Quaderno n° 53 delle comunità parrocchiali di Baveno Lavori non pubblicati: ITIS Cobianchi Verbania: Area di Progetto La Lavorazione del granito sul Montorfano, Ind. Meccanico a.s. 1994-95 Pier Mario Locatelli  SMS Baveno.

A cura di: Claudio A. Vicari