La lavorazione della canapa (Cannobio)


Fusi e spolette: attrezzi usati per tessere al telaio

 
Descrizione specifica del manufatto:
Coltivazione e raccolto

Un tempo la canapa era coltivata e lavorata in tutta la valle soprattutto a Gurro e a Crealla.
Forniva il materiale per la tessitura di stoffa di grossezza varia per la biancheria. Veniva inoltre usata per fabbricare lo spago con cui si trapuntavano le suole di “peduli”.
Nonostante i suoi molteplici usi ora non viene più coltivata.
 

La canapa si seminava in aprile e veniva raccolta in agosto quando aveva raggiunto l’altezza di due metri.
La canapa sradicata era legata a mazzetti e portata al macero: questo a Gurro dove non si lasciava asciugare, a Falmenta, invece, si strappava e la si faceva diventare secca, poi si appoggiava ai muri, sparpagliandola un pochino.
 
Macerazione
La canapa veniva poi fatta macerare in fosse in cui si faceva entrare l’acqua del torrente. Sopra i mazzi di canapa venivano deposti grossi sassi per mantenerli ben immersi che le donne, principali esecutrici di questo lavoro, a fatica riuscivano a sollevare. La canapa rimaneva nel pozzo una settimana, se l’acqua era calda, dodici giorni se era fredda. Successivamente veniva disposta in mucchi per farla scolare per un’intera giornata.
 
Stigliatura, scolatura e pettinatura
Quando la canapa era secca veniva stigliata: cioè si separava la fibra tessile, il tiglio, dal fusto legnoso. Alla stigliatura seguiva la scotolatura che sbarazzava le fibre utili da tutti i frammenti legnosi rimasti intrappolati nelle fibre.
In Valle Cannobina il tiglio veniva battuto con una mazza di legno, per questo scopo la canapa veniva messe in un recipiente di sasso incavato che le impediva di sparpagliarsi sotto i colpi.
La canapa veniva poi pettinata così da separare la canapa fine da quella grossolana. Per questa operazione si usava “u spinàs”, un asse di legno lungo 70-80 cm, nella parte mediana del quale erano infissi circolarmente lunghi chiodi di ferro la cui grossezza e fittezza era variabile a seconda del tipo di canapa che si voleva ottenere. Alle due estremità dell’asse vi erano due fori semicircolari utili per l’impugnatura.

La canapa si divideva in “stupa” usata per la filatura e in “arista”, più fine, usata per la tessitura.
La canapa più corta o grossolana veniva recuperata; il filo grosso veniva adoperato per fare coperte, quello corto per far tela.
 

Filatura
La filatura era un lavoro svolto dalle donne che, durante le lunghe sere d’inverno, si riunivano in una casa per filare lana o canapa.
La filatura avveniva con il sistema “canocchia-fuso”. La canocchia consiste in un bastone di lunghezza varia all’estremità più sottile del quale erano intagliate delle tacche che servivano a impedire alla fibra di scivolare. La canocchia, tenuta sotto il braccio sinistro, veniva infilata nella cintura del grembiule, sul fianco e superiormente è sostenuta da una catenella legata al petto.
Il fuso, lungo tra i 25 2 i 35 cm, era di legno duro.
Per iniziare la filatura  si prendeva un pezzo di filo già lavorato e lo si annodava da un lato al fuso e dall’altro alla fibra nuova da filare. Il nuovo materiale lo si tirava con la mano sinistra, mentre con la destra si faceva prillare il fuso, tenendo l’incocca (una delle due estremità del fuso) tra le dita e poi lasciandola andare: il fuso gira da sinistra verso destra.
Quando si aveva un metro circa di filo, si scioglieva l’incocca e lo si avvolgeva nel fuso.
La grossezza del filo era regolata dalle dita della mano sinistra. Se la fibra era troppo asciutta, si bagnavano le dita con la saliva e si continuava a filare fino a riempire il fuso.
 

Lavatura e sbiancamento
La canapa filata avvolta in matasse veniva lavata ponendola in una caldaia da bucato sul cui fondo era posto un asciugamano e coprendola di cenere. Si versava poi acqua fredda e quindi si metteva a bollire per circa cinque ore. La canapa veniva poi lavata al lavatoio per togliere la cenere.
La canapa ben sciacquata veniva posta in un secchi di  legno forato sul fondo e chiuso da un tappo di legno. Sulla canapa si versava dell’acqua saponata bollente, l’operazione veniva ripetuta anche più volte riutilizzando la stessa acqua. Infine si toglieva la canapa, la si sciacquava e la si lasciava asciugare.
 

Tessitura
La tessitura era un lavoro maschile.
Il telaio era posto in una stanza ed era fissato sia al soffitto sia al pavimento. L’orditorio era fisso e consisteva in due serie parallele di cavicchi di legno infissi in una parete; tra i due ve ne era un terzo che separava in due l’ordito. Il telaio veniva montato con venti gomitoli di canapa che venivano messi in una cassetta con venti scomparti. I capi dei singoli gomitoli passavano attraverso venti fori di specie di spatola che ne impediva l’aggrovigliamento.
L’ordito montato sul telaio si ungeva con la bozzima, che era un impasto di farina di castagne e fagioli, cotta nel grasso.Quando la tela era terminata la si bagnava e la si metteva al sole ad imbianchire.

Bibliografia:
Bergamaschi C. La vita quotidiana in valle Cannobina nell’ultimo secolo Alberti Editore, Verbania 1997   AAVV Conoscere la Valle Cannobina La moderna editrice, Novara 1977
AAVV Usi e costumi delle genti cannobine  La moderna editrice, Novara 1979
AAVV Luoghi non tanto comuni. Cannobio, il suo lago, la sua valle. Casale Corte Cerro 1985
Zeli E. Terminologia domestica e rurale della Valle Cannobina Casagrande editore, Bellinzona 1968.

A cura di: Daniela Boglioni